LA CAUTERIZZAZIONE

Fonte Colombo, autunno 1225. Francesco, quasi completamente cieco, si trova ricoverato nell’infermeria di un eremo, in attesa dell’arrivo del medico che dovrà tentare di curare la sua malattia agli occhi. Con lui c’è frate Pacifico.

FRANCESCO: Fratello mio, i figli di questo secolo non sono sensibili alle cose divine; usano gli strumenti musicali come cetre e arpe a dieci corde per la vanità e il peccato, mentre nei tempi antichi gli uomini li utilizzavano per la lode di Dio e il sollievo dello spirito.

PACIFICO: E allora?

FRANCESCO: Tu che prima di diventare frate eri un grande musicista, mi piacerebbe che mi suonassi qualcosa.

PACIFICO: No, Francesco, mi vergogno: la gente di qui lo sa che prima di convertirmi facevo il giullare. Se mi sentono suonare penseranno che sono stato ripreso dalla tentazione.

FRANCESCO: Ma dai, non ti sente nessuno: solo io. E la musica mi aiuterebbe tanto ad alleviare il dolore fisico, trasformandolo in letizia e consolazione dello spirito.

Arriva Leone. Visto che Francesco non può vederlo, si fa riconoscere a voce. 

LEONE: Ciao… sono Leone.

FRANCESCO: Piacere, Francesco.

LEONE: Ah, ah. Come stai?

FRANCESCO: Seduto.

LEONE: Fai lo spiritoso, eh. Vedo che la malattia non ti ha fiaccato lo spirito!

FRANCESCO: “Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena m’è diletto”

LEONE: Che?

FRANCESCO: Niente, una vecchia canzone d’amore… allora?

LEONE: Il dottore sta arrivando per operarti agli occhi.

FRANCESCO: Non vedo l’ora… ma non solo l’ora, eh: non vedo proprio niente!

LEONE: Senti, lo so che non hai voglia di fare questa operazione, ma è l’ultima speranza che ci è rimasta.

FRANCESCO: La speranza è sempre l’ultima a morire… è inguaribilmente ritardataria!

LEONE: Dai, il cardinale Ugolino ha insistito tanto perché venissi a operarti qui. Anzi, te lo ha proprio ordinato. Non devi farlo per te, ma per amore nostro. Abbiamo bisogno di te e ci servi in salute!

FRANCESCO: Ma io sto bene. Tutte queste tribolazioni sono nulla rispetto a quello che mi aspetta in Paradiso! Io, Leone, tutti questi mali, me li sto godendo alla grande!

LEONE: Dai, questo medico qua pare che sia proprio bravo.

FRANCESCO: Sì, certo.

LEONE: Dice che è proprio un capoccione, uno specialista delle malattie agli occhi, il migliore.

FRANCESCO: Lo diceva anche di quello di Siena.

LEONE: Sì, ma questo è proprio un luminare!

FRANCESCO: Luminare? Ecco perché gli piace giocare con il fuoco.

LEONE: Dai su non essere sarcastico… eccolo che arriva. Mi raccomando eh, mi raccomando!

Arriva il medico e si presenta. Porge la mano a Francesco per stringergliela ma Francesco non lo vede e quindi resta immobile. Leone gli fa capire a gesti che è cieco e allora è il medico a prendere la mano di Francesco.

BONGIOVANNI: Buongiorno padre!

FRANCESCO: Perché mi chiami padre? Uno solo è il padre: quello che ha creato cielo e terra!

BONGIOVANNI: Scusami, signor Francesco.

FRANCESCO: E perché mi chiami Signore? Uno solo è il Signore: quello che regna nei cieli.

BONGIOVANNI: Ti chiedo ancora perdono, maestro.

FRANCESCO: Non chiamarmi maestro! L’unico titolo che accetto è quello di Fratello. E tu, eminente dottore, come ti chiami?

BONGIOVANNI: Bongiovanni.

FRANCESCO: Per gli amici Bon Jovi?

Il medico guarda Leone come a dire “Che diavolo dice?”, Leone, sempre a gesti, gli fa capire che non deve farci caso: l’amico è un po’ strano.

FRANCESCO: Senti, ti dispiace se io, però, ti chiamo semplicemente Giovanni?

BONGIOVANNI: Perché?

FRANCESCO: Perché solo Dio è buono.

BONGIOVANNI: Ah…

FRANCESCO: Ma spero che almeno quegli attrezzi tu sia buono a usarli…

BONGIOVANNI: Ah, certo, certo.. sì, ora ti mostro cosa andiamo a fare: dunque, vedi questo ferro?

FRANCESCO: No.

BONGIOVANNI: Ah, già… (osserva l’occhio di Francesco) il problema è tutto questo umore ributtante… dunque noi andremo ad eliminare questa infezione. In altre parole: disinfetterò i tuoi occhi, in modo che tu non debba più soffrire e possa tornare a vedere… più o meno… insomma… speriamo.

FRANCESCO: Come hai intenzione di fare per disinfettarmi?

BONGIOVANNI: Ebbene, renderò questo ferro rovente scaldandolo su quel fuoco e poi…  beh… praticherò una cauterizzazione, da qui, sotto l’orecchio, fino al sopracciglio. In questo modo tenteremo di arginare le secrezioni. Se Dio vuole tutta l’infezione sarà bruciata, dunque asciugata e disinfettata.

FRANCESCO: Sarà doloroso?

Il medico guarda Leone e Pacifico, che sono atterriti.

BONGIOVANNI: Beh, doloroso… nn.. ss.. cioè… un pochetto… sssì. D’altra parte se vuoi tornare a vedere un pochino ti tocca soffrire.

FRANCESCO: No no, per carità, e io mica scappo: sto qua. L’hai messo a scaldare ‘sto ferro?

BONGIOVANNI: Sì, è quasi pronto.

FRANCESCO: E allora avanti, che il ferro va battuto finché è caldo!

Il medico si prepara all’operazione e Leone si avvicina a Francesco.

LEONE: Senti, Francesco, io vado un attimo nella tua stanza che devo fare una cosa.

FRANCESCO: Dove è che vai?

LEONE: Nella tua cella.

FRANCESCO: Mia? Non lo sai che un frate minore non possiede niente? Niente!

LEONE: Sì, scusa, volevo dire…

FRANCESCO: Adesso io in quella cella non ci metterò mai più piede. Chiaro? Perché io di mio non ho proprio niente. Nemmeno la vita è mia, figuriamoci la cella!

LEONE: Sì, va bene.

FRANCESCO: Ricorda: le volpi hanno la tana e gli uccelli del cielo il nido, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. E il Signore, quando stava in disparte a pregare e digiunò quaranta giorni e quaranta notti, non si fece mica apprestare una cella o una casa, ma si riparò sotto le rocce della montagna. Dunque in quella cella, da oggi in poi, ci abiterai tu.

LEONE: Va bene, va bene. Ecco, allora vado a prepararti un’altra stanza; dopo l’operazione sarai stanco e avrai bisogno di riposare.

FRANCESCO: Ah, ecco. E quindi tu vai…

LEONE: … eh, a preparare la stanza.

FRANCESCO: Certo, grandi preparativi, immagino. Cos’è che fai? Tinteggi il fango? Innaffi la paglia? Spolveri i sassi? Dai da mangiare ai topi? E Pacifico che fine ha fatto?

LEONE: Aveva un affare da sbrigare…

FRANCESCO: Proprio adesso? A Leò, ma dimmi un po’: ve state a caca’ sotto al posto mio?

LEONE: A caca’ sotto? Ma no, ma che vai a pensare, Francesco!

FRANCESCO: Vai, vai. Vai a “preparare la stanza”, coniglio!

Leone, umiliato, si allontana.

BONGIOVANNI: Eccoci qua: siamo pronti.

FRANCESCO: Giovanni scusami, ma prima di abbrustolirmi, puoi lasciarmi un momento solo con il fuoco?

BONGIOVANNI: Prego?

FRANCESCO: Vorrei parlare un momento in privato…

BONGIOVANNI: Con chi?

FRANCESCO: Con il ferro rovente.

Bongiovanni fa una faccia come a dire: ma questo è tutto scemo.

FRANCESCO: Ti dispiace?

BONGIOVANNI: No, no, d’accordo (resta in silenzio)

FRANCESCO (rivolto al ferro rovente): Fratello mio fuocherello caro, nobile e utile tra tutte le creature. Tu lo sai che io ti ho sempre voluto bene, no? Io ti ho amato e ancora di più ti amerò per amore del Creatore che ti ha creato! Tu lo sai che è tanto il rispetto che ho per te, che fosse per me, non ti spegnerei mai: in vita mia non ho mai spento una candela, una lampada o un caminetto! E ti ricordi quando ti sei appiccato alla mia tonaca, e al frate che è corso a salvarmi gli ho detto “Non fare male a fratello Fuoco”? Oh, alla fine ti hanno spento contro la mia volontà! Se era per me mi avevi già bello che cauterizzato tutto da un pezzo! E quando si è incendiata la cella? Io non l’ho aiutato mica, frate Ginepro, a spegnere l’incendio eh! Anzi, me ne sono andato con una coperta sulle spalle, e mi sono pure sentito in colpa perché non te l’ho fatta divorare, quella coperta!

E il Cantico? Il Cantico te lo ricordi? “Laudato si’ mi Signore per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte”.
Ti era piaciuta, no, questa poesia? Mi dicono che l’hai apprezzata! Ecco, adesso ti chiederei, se possibile, di ricambiare la cortesia. Che ne pensi?

(Si allontana, esita, poi si riavvicina e ricomincia a parlare, questa volta sottovoce)

Ti prego… non farmi troppo male… aiutami a sopportare il dolore,  non mi far fare brutta figura davanti al medico e ai frati… che già si stanno cacando sotto dalla paura, se mi vedono che scoppio a piangere mecce morono … va bene? Affare fatto? (fa l’occhiolino) Ti ho fatto pure l’occhiolino: con quello che me c’è rimasto dell’occhio non è una cosa da poco, eh.

(Benedice il ferro tracciando il segno della croce)

BONGIOVANNI: Possiamo cominciare?

FRANCESCO: Sì, certo.

BONGIOVANNI: Sicuro?

FRANCESCO: Possino ciecamme (‘nandro po’)

BONGIOVANNI: Vado?

FRANCESCO: Vadi!!!

Il medico imprime il ferro e pratica la lunga cauterizzazione. Non si sente un grido. Ma solo un lungo respiro, un urlo di dolore trattenuto.

Tornano Leone e Pacifico.

LEONE: Allora? Come è andata? Come stai?

FRANCESCO: (Lungo sospiro) E come devo stare? Sto bene!

LEONE: Davvero? Non hai sofferto?

FRANCESCO: Ma che sofferto! Razza di vigliacchi! Uomini di poca fede! Figuratevi, non ho sentito niente. Ma proprio (fa un altro lungo sospiro) proprio niente! Anzi, Giovà, se non sono ancora cotto bene, dammi una ripassata, va’!

Bongiovanni,  Leone e Pacifico si guardano interdetti.

FRANCESCO: E’ una battuta.

I due scoppiano a ridere, sciogliendo finalmente la tensione.

BONGIOVANNI: Ah, cioè come fosse…tipo ‘na sarsiccia de Poverello ai ferri!

LEONE: Daje, famoce ‘sta grigliata francescana!

FRANCESCO: Che poi siete due capre, sennò avreste colto la citazione da San Lorenzo…

LEONE: Che c’entra San Lorenzo?

FRANCESCO: Che c’entra San Lorenzo? E sei pure prete, capra!

LEONE: Ah ah ah! Pensavo di essere Leone la Pecorella di Dio, invece…

BONGIOVANNI: E invece beeeeeeeeehhhhhhhh! Beeeeeeh!

FRANCESCO: Beh? Mo basta! Pacifico!

PACIFICO: Dimmi, Francesco.

FRANCESCO: Adesso non hai più scuse: vai a pizzicare il tuo strumento per me. Ora ci vuole proprio un po’ di buona musica!

Città del Vaticano, 4 ottobre  2018